Messaggio del rettore del Polimi sul decreto Gelmini

Oggi non scriverò di fatti personali o di tecnologia, ma mi limiterò a riportare un messaggio che il Rettore del Politecnico di Milano, Giulio Ballio, ha mandato agli studenti riguardo il decreto Gelmini (ultimamente quotidianamente esasperatamente riportato su tutti i mass media) e la più concreta legge 133/08.

Devo ancora rileggermelo un paio di volte e poi andare a confrontare altre fonti prima di farmi un’idea il più possibile chiara, ma ho comunque pensato di riportarla qui dato che da ex studente del Polimi, da studente in genere, da giovane e da italiano, questo problema riguarda tutti e non sono quelle persone che frequentano oggigiorno le nostre scuole!

Cari Allieve e Allievi del Politecnico di Milano,

In questi giorni ho ricevuto molti messaggi da parte Vostra.

In essi vi sono domande volte a cercare di comprendere meglio la attuale situazione, sono espresse preoccupazioni per il futuro di Voi giovani e del nostro Ateneo.

Siamo tanti, più di 2.500 fra docenti, tecnici e amministrativi, quasi 40.000 gli allievi: non possiamo certo riunirci tutti.

Userò quindi il web per mettere a Vostra disposizione quello che so e che ho imparato in questi anni, presentandovi soprattutto i punti che non sempre appaiono chiari nel confuso dibattito che i media ci presentano. Cercherò di individuare i vostri dubbi e di rispondere alle vostre domande. Presenterò le mie opinioni e il percorso che stiamo intraprendendo, terminerò con alcune conclusioni.

I decreti Gelmini

Sulla stampa, in molti striscioni, nelle manifestazioni si richiamano due realtà completamente diverse: la proposta del Ministro Gelmini sulla Scuola elementare e la legge 133/08 relativa al contenimento della spesa pubblica, il cui testo ricalca le proposte del Ministro Tremonti.

Vi intratterrò soltanto sulla seconda che riguarda anche le Università.

La legge 133/08 sul contenimento della spesa riguarda tutte le amministrazioni pubbliche, dai Ministeri alle Regioni, dai Comuni alla Polizia, dalle Università a tutte gli innumerevoli enti che sono prevalentemente finanziati dallo Stato.

Le riduzioni previste sono indistinte e colpiscono indiscriminatamente, senza considerare le differenze di funzioni, compiti e risultati delle varie tipologie di amministrazioni.

Per quanto è relativo alle Università statali come la nostra, le due conseguenze più rilevanti di questa legge approvata prima dell’Agosto 2008 sono le seguenti:

  • una riduzione del finanziamento statale al sistema universitario (FFO = Fondo di Finanziamento Ordinario) a partire dal bilancio 2010 (quindi dal 1 gennaio 2010);
  • la drastica riduzione del turn over (ogni 10 persone che vanno in pensione, ne possono entrare soltanto 2 fino al 2012 e poi 5 dal 2013);
  • la possibilità di trasformare le università in Fondazioni di diritto privato.

Il Finanziamento statale del sistema universitario

Ogni anno la Finanziaria stabilisce l’ammontare del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), cioè i soldi che vanno al Sistema Universitario statale. Questa somma è a disposizione del Ministero che la ridistribuisce fra i differenti Atenei. La somma è cresciuta dal 1995 al 2005 ed è praticamente stazionaria da tre anni. Vale oggi circa 7 Miliardi di euro. La legge prevede una riduzione di circa il 20% in tre anni di tale somma senza considerare che, nel nostro Paese, il finanziamento alle Università è fra i più bassi di Europa. (Basta guardare i dati dell’OCSE).

Bisogna combattere affinché tale riduzione non avvenga: ciò è reso difficile non solo dalla situazione economica mondiale che sta peggiorando di giorno in giorno, ma anche dalla disuniformità e dalla credibilità attuale del sistema universitario.

Vi sono Atenei che hanno utilizzato bene la loro autonomia ed altri meno bene.

Vi sono Atenei che hanno investito per migliorare i servizi agli studenti e le infrastrutture di ricerca, altri hanno soltanto assunto persone, talvolta calpestando il merito di altre.

Gli effetti del taglio di finanziamento possono essere ricondotti a due tipologie differenti.

La prima riguarda quegli Atenei che hanno esagerato nelle assunzioni di personale ed oggi hanno un costo del personale che praticamente mangia tutta la loro dotazione statale (forse avete sentito dire che il rapporto fra spese di personale e FFO di ogni Ateneo non dovrebbe superare il 90%, che vi sono Atenei che hanno superato tale rapporto, che con gli adeguamenti stipendiali questo rapporto continuerà ad aumentare). Questi Atenei, se la legge venisse mantenuta inalterata, sono destinati, chi subito, chi fra due – tre anni a fallire perchè non saranno più in grado di pagare i loro dipendenti.

La seconda riguarda quegli Atenei, come il nostro, che, pur avendo aumentato negli anni il loro personale docente, tecnico e amministrativo, sono stati attenti a non caricarsi da impegni di spesa troppo onerosi (il Politecnico di Milano ha spese fisse di personale pari al 67% di FFO a fronte di una media nazionale dell’86%) ed hanno utilizzato la differenza per investimenti in attrezzature, infrastrutture, creazione e miglioramenti dei servizi offerti. Di fronte a un taglio di finanziamento statale, questi Atenei non sono condannati al fallimento, ma dovranno ridurre spese e servizi. Chi, come noi, ha già fatto ogni tipo di razionalizzazione e di economia, dovrà cercare, in tutti i modi possibili, di mantenere la qualità di tutti quei servizi che vi fanno apprezzare il nostro Ateneo.

Io confido che, a meno di cataclismi economici, il Governo dovrà rivedere le sue decisioni, almeno nei riguardi di quegli Atenei che hanno dimostrato di saper bene gestire le risorse loro assegnate.

Se insisterà nella sua decisione, vorrà dire che il Governo desidera uccidere le nostre università, portando il nostro Paese a diventare vassallo di altre Nazioni, in particolare di quelle che molto stanno investendo in formazione e ricerca.

La riduzione del turn over

La riduzione imposta dalla legge per il turn over nasce forse da un ragionamento meramente economico, ma non considera le conseguenze che sono devastanti per tutti.

Il ragionamento è il seguente: riduciamo le persone, così riduciamo il costo degli stipendi e quindi compensiamo con tale riduzione il minor finanziamento. A supporto di tale ragionamento si portano i difetti del sistema: modalità di reclutamento non sempre irreprensibili, proliferazione di corsi di laurea istituiti per soddisfare più gli interessi dei docenti che le necessità formative degli allievi, scarsa presenza dei docenti negli Atenei, incapacità di auto governarsi correttamente, autoreferenzialità e mancanza di valutazione dei risultati. In fondo si è contribuito a creare uno slogan che purtroppo sta attecchendo nella opinione pubblica: le amministrazioni pubbliche sono costose e inefficienti, l’università è una amministrazione pubblica, quindi la università è inefficiente e sprecona.

E’ un ragionamento che combatto da 5 anni e che non è facile da contestare perché l’opinione pubblica è sempre più attenta agli aspetti negativi che le vengono presentati che a quelli positivi. Basta una truffa a un test di medicina in un Ateneo per dire che tutti gli Atenei stanno truffando, basta una assunzione chiacchierata per dire che tutti i concorsi universitari sono truccati, basta dire che una università ha scoperto un buco nel suo bilancio per dire che il sistema delle università pubbliche è fallito.

Il gusto della generalizzazione purtroppo ormai caratterizza tutti, molti si accontentano di soli slogan, pochi amano ancora conoscere prima di parlare.

La legge è devastante perché colpisce tutti indiscriminatamente e ingiustamente. Chi ha limitato il numero di assunzioni, chi ha fatto una programmazione attenta dei ricambi generazionali viene colpito irrimediabilmente.

La legge colpisce drammaticamente tutti i giovani che oggi collaborano a vario titolo con i docenti (dottorandi, post doc, assegnisti di ricerca) e che contavano un giorno non troppo lontano di entrare in una posizione stabile in università.

In definitiva si deve combattere per modificare la decisione legislativa perché è profondamente ingiusta, perché taglia le gambe al ricambio generazionale, perché colpisce le aspettative dei giovani, perché va esattamente nel senso contrario al riconoscimento del merito, perché indebolisce in modo irreversibile l’università che, senza l’immissione di giovani, diventerà vecchia e obsoleta nel giro di pochi anni.

La possibilità di trasformare le università in Fondazioni

E’ stato detto in molti interventi che l’articolo di legge che consente alle università statali di trasformarsi in Fondazioni di diritto privato e non dice come e con la partecipazione di chi, che è talmente vago da essere non attuabile, che, con esso, si annuncia un cambiamento di strategia da parte del Governo nei riguardi del sistema della formazione e della ricerca italiano.

Vediamo di ragionarci un attimo. Un Ateneo potrebbe trasformarsi in fondazione se, accanto allo Stato, intervenissero dei partners privati disposti a sostenere economicamente l’Ateneo.

L’On. Mauro, vice presidente del Parlamento europeo, si è chiesto recentemente in un convegno: dove si può trovare un imprenditore così pazzo da caricarsi l’onere di contribuire finanziariamente alle spese correnti di un Ateneo o di una Scuola che, per definizione, non sono in grado di restituire utili? Quale privato può investire a fondo perduto?

Si potrebbe pensare a una Fondazione che veda Stato, Regione, Provincia, Comune insieme a Fondazione Bancarie e Associazioni varie. Ci si dimentica che è necessario una quota di contribuzione privata maggiore del 50% per rendere “privata” una fondazione e quindi per renderla indipendente dalle regole imposte dal contenimento della spesa pubblica (i famosi parametri di Maastricht).

E’ oggi impensabile che le Fondazioni bancarie si sostituiscano in larga misura allo Stato per finanziare annualmente il sistema della formazione e della ricerca e quindi gli Atenei.

Non vi sono altre alternative: in tutto il mondo le Università funzionano perché ricevono il loro prevalente fabbisogno finanziario o dalla Collettività Sociale o dalla contribuzione diretta degli Allievi. Nel primo caso l’Università si caratterizza come pubblica, nel secondo come privata (in Italia la prima è denominata statale, la seconda non statale).

Il primo modello considera prevalente il vantaggio di avere formazione e ricerca a servizio della competitività della intera Comunità sociale. Il secondo modello considera prevalente il vantaggio del singolo (allievo o impresa) che riceve la possibilità di incrementare la propria competitività personale.

In Europa è sicuramente prevalente il primo modello tanto che la quasi totalità di studenti universitari frequentano università pubbliche (in Italia sono oggi il 94%).

Cosa fare

Resta un anno per cercare di rovesciare la situazione e certamente non si possono aspettare gli ultimi mesi del 2009 per riuscirvi. D’altra parte è evidente che azioni non coordinate non possono che essere inutili e controproducenti.

Credo che ognuno, prima di partecipare ad una qualsiasi iniziativa, dovrebbe ragionare non in base ai propri sentimenti, bensì valutando razionalmente le possibili conseguenze.

Mi spiego con un esempio: le attuali manifestazioni spontanee possono essere considerate esaltanti da chi vi partecipa per il loro forte impatto mediatico, ma il monitoraggio delle loro conseguenze sembra dimostrare che nella opinione pubblica sta crescendo il fastidio e quindi il rafforzamento delle posizioni più contrarie alla nostra università. Ciò rende ancora meno condiviso dalla maggioranza dell’opinione pubblica il tentativo di mitigare gli effetti della legge e di mantenere pubblico il nostro sistema universitario. Rende invece più condiviso qualsiasi atto teso a penalizzare i nostri Atenei.

Quello che bisogna fare subito, tutti insieme, riguarda soprattutto la politica interna degli Atenei. E’ quanto mai necessario che ogni Ateneo risponda, il più rapidamente possibile, alle critiche che vengono mosse in modo generalizzato, o per dimostrare di esserne esente o per modificare i propri comportamenti.

Quali sono queste critiche?

  1. Le Università sono accusate di aver prolificato i corsi di laurea e gli insegnamenti per favorire i desideri dei docenti. Si deve rimodulare la didattica in modo da erogarla sempre più all’insegna del principio della effettiva centralità della formazione dell’allievo e delle sue concrete possibilità di trovare sbocchi lavorativi soddisfacenti.
  2. Le Università sono accusate di dissipare tempo e soldi in una ricerca inutile e costosa che serve soltanto alla carriera accademica di chi la produce. Si deve promuovere una ricerca sempre più al servizio della competitività internazionale del nostro Paese e quindi ci si deve battere affinché il Governo promuova il riconoscimento della qualità e del merito a seguito di valutazioni attendibili, analoghe a quelle ormai abituali in molti paesi europei.
  3. Le Università sono accusate di seguire processi poco trasparenti nel reclutamento dei giovani e nell’avanzamento di carriera dei docenti. Si deve promuovere un sistema di valutazione che porti a una qualità certificata da parametri obiettivi e procedure innovative nel reclutamento dei docenti e dell’inserimento dei giovani.
  4. Le Università sono accusate di aver prolificato a dismisura le loro sedi didattiche. Si deve promuovere una revisione della distribuzione a livello regionale o macroregionale della propria offerta formativa e della ricerca nell’interesse dei territori, anche sviluppando interazioni ed integrazioni forti tra Atenei in un’ottica di complementarietà.
  5. Le Università sono accusate di avere una visione corporativa nelle proprie modalità di governo. Bisogna testimoniare l’impegno di modificare il proprio assetto di governance interno per evitare derive autoreferenziali attraverso una netta separazione tra funzioni di indirizzo delle attività didattiche e scientifiche, e responsabilità di gestione delle risorse.
  6. Le Università sono accusate di non riuscire a verificare l’impegno dei propri docenti nella didattica e nella ricerca. Ci deve attivare per garantire sempre di più il rispetto di un codice etico di comportamento, anche misurando la produttività dei propri docenti

Allora cosa fare verso l’esterno?

Bisogna combattere per convincere tutti gli Atenei ad attivarsi in queste direzioni. Bisogna combattere perché alcuni imbocchino questa strada fin da subito, nella speranza di essere di esempio per gli altri. Bisogna mettersi in discussione di fronte al Paese all’insegna della trasparenza e dell’obiettività. Bisogna essere disponibili a confrontarsi con esperti del Ministero dell’Economia e delle Finanze sui propri bilanci e sui criteri di gestione adottati, superando ogni forma di autoreferenzialità.

Come vedete bisogna imboccare una strada stretta, difficile e in salita che richiede l’impegno di tutti e soprattutto il rispetto delle Istituzioni di appartenenza.

Il Politecnico di Milano, insieme ad altri Atenei, può già dimostrare di essere esente da molte delle critiche che vi ho sopra riportato e di aver già preso la decisione di attuare processi che gli consentano ulteriori miglioramenti.

Noi, Rettori di questi Atenei, abbiamo il compito di combattere su diversi tavoli per fare in modo che il Governo possa riconoscere la utilità di queste azioni, per convincerlo a stipulare un “patto di stabilità”, cioè un accordo di programma individualizzato Ateneo per Ateneo, che accordi un finanziamento dignitoso a fronte di precisi obiettivi da raggiungere nella didattica, nella ricerca, nella gestione.

Conclusioni

Insieme ad altri Rettori sto combattendo in tutte le direzioni che Vi ho delineato, ho bisogno dell’appoggio di tutti e soprattutto di Voi allievi.

Se dovessero arrivare dal Governo segnali precisi di non disponibilità alla discussione sulla base delle linee che Vi ho indicato, allora sarà chiara la sua volontà di penalizzare anche gli Atenei più aperti al cambiamento ed i loro Rettori saranno costretti ad assumere tutte le iniziative necessarie per evitare la catastrofe dell’intero sistema universitario pubblico del Paese.

Non possiamo perdere la battaglia volta a migliorare la competitività internazionale del nostro Paese, competitività necessaria per assicurare un futuro a tutti Voi.

Resto a Vostra disposizione per approfondire i temi che più Vi interessano, per confrontarmi con Voi, convinto che soltanto attraverso il dialogo possiamo costruire un futuro sempre migliore del nostro Ateneo.

Giulio Ballio
Rettore del Politecnico di Milano

Di certo preferisco una lettera così, suddivisa per punti o comunque qualcosa di nero su bianco sul quale discutere e avere un confronto, piuttosto che strumentalizzazione politica e incasinata che ci stanno proponendo le televisioni.

{ Apro una piccola parentesi: io sono una persona a cui piace tenersi informato e che quasi tutti i giorni, oltre a un paio di tg, si sfoglia e si legge qualche quotidiano; eppure non mi è sempre facile capire i punti salienti dei fatti di cronaca, piuttosto di quelli della politica italiana, pur seguendoli dall’inizio. Allora mi domando: ma è così difficile fare, soprattutto in televisione, dei servizi più decenti e più esplicativi (a mo’ di presentazioni per intenderci) con i punti chiave di quello per cui si sta discutendo e/o protestando? Così anche coloro che non hanno altri mezzi d’informazione al di fuori del tubo catodico potrebbe capirci qualcosina di più, e magari perché no, una volta tanto, prendere una posizione. E solo poi, forse, fare una protesta giusta e pacifica, ma soprattutto informata!
Chiusa parentesi! }

Concludo: l’Italia ha bisogno di riforme serie e purtroppo spesso bisogna fare tutti dei sacrifici, più o meno onerosi, ci vuole del tempo per raccoglierne i frutti (sani), dopo aver potato pesantemente l’albero!

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Categorie: miscellanea

3 Risposte

  1. Valentina Dice:

    Correttissimo. Condivido chiaramente in pieno tutto quanto è stato scritto (anche se non è facile mantenere la pazienza per dare quel “buon esempio” e per assumere quell’atteggiamento di dialogo proprio con coloro che di dialogo finora non ne hanno proprio voluto sapere!).
    Non oso pensare a quale potrebbe esser il destino degli studenti meno facoltosi! Eh sì, è chiaro! Se il nostro ateneo vuole sopravvivere chiaramente dovrà aumentare notevolmente le tasse scolastiche e francamente conosco diversi studenti che già sono al limite. Io stessa, che vengo da una famiglia media, a fronte di un forte rincaro delle tasse scolastiche dubito che riuscirei a sostenere facilmente la spesa per almeno altri 3 anni (frequento il secondo anno del corso di ing.edile-architettura che è quinquennale).
    Ma cosa devono fare i ragazzi?Devono fuggire all’estero non solo se intendono intraprendere il settore della ricerca, ma ora perfino per studiare e laurearsi????!!!!!!
    E poi ci si lamenta della fuga dei cervelli!
    Sia chiaro, sono la prima a dire che, se è possibile ottimizzare le spese sfruttando meglio le risorse che il governo ci mette a disposizione evitando gli sprechi, si debba cercare di spendere di meno mantenendo comunque lo stesso standard qualitativo.; ma è chiaro credo che il nostro ateneo sia già molto virtuoso e che meglio di così è davvero difficile riuscire a fare.
    Non so…si parla tanto di test truccati e di facoltà i cui iscritti son tutti parenti di importanti e rinomati professionisti ma…se andiamo avanti di questo passo non ci saranno neanche più scandali del genere visto che i “figli di papà” saranno gli unici a potersi permettere l’università!E questo dovrebbe esser uno stato democratico????!!!!! Ed è un vero peccato; l’Italia è un paese così bello.E’ proprio un peccato che già ora moltissimi giovani (me compresa) non prendano neanche in considerazione l’ipotesi di rimanere in Italia dopo la laurea ma di fuggire all’estero. Certo, come è possibile pianificare il proprio futuro in uno stato che non vuole dare spazio ai proprio giovani?! Cosa può aspettarsi un giovane neolaureato (dico neolaureato perchè spero che un giorno possa esser il mio caso)? Un lavoro? Una casa di proprietà? La possibiltà di mantenere una famiglia? Un’università accessibile per i propri futuri figli? Una pensione? Non so, se lei mi sa dare una risposta sarei molto molto lieta di sentirla perchè oggi come oggi non me la so dare!
    Ma mi dica lei se è normale che una ragazza come me, il cui sogno era di studiare Design degli interni (e che sarebbe passata benissimo al test visto il punteggio che ho totalizzato per accedere al corso che sto frequentando), debba fare un corso di ingegneria (che a posteriori ho apprezzato molto più di quanto non sperassi) per poter avere una discreta certezza di poter un giorno trovare un posto di lavoro in linea ai propri studi!?!!!!!
    La ringrazio e la saluto cordialmente
    Valentina

    Postato su ottobre 30th, 2008 at 02:04

  2. CyberAngel Dice:

    Ciao Valentina!
    Spero che il “lei” non sia rivolto a me, dato che potremmo avere la stessa età! ;)
    Si di certo la situazione non è delle più rosee e non bisognerebbe fare di tutte l’erbe un fascio. Sta di fatto che le università dovrebbero cominciare a procacciarsi i fondi in maniera più corretta (al contrario dei corsi fantasma frequentati da un solo studente!). Convogliando i finanziamenti nella ricerca e nell’aumento del prestigio dell’Ateneo. Quanti sprechi ci sono stati e continuano ad esserci?
    Sono d’accordo con te che già le rate non sia sempre alla portata di tutti, ma ti assicuro che sono le più basse d’Europa e anche del resto del mondo (vedi solo negli USA). Forse anche questo è un problema, visto che il tasso di abbandono è, al contrario, uno dei più alti. Magari anche gli studenti, sapendo che per un paio di decenni dovranno pagare il loro primo mutuo per l’università, ci penseranno due volte prima di fare scioperi o disertare le lezioni!

    Postato su ottobre 30th, 2008 at 11:55

  3. CyberAngel’s Blog » Approvato il decreto Gelmini Dice:

    […] qualche ora dal mio ultimo post riguardante la lettera del Rettore del Polimi sulla riforma scolastica, il Senato ha approvato il decreto Gelmini, dlgs. 137/08, da non […]

    Postato su novembre 1st, 2008 at 22:26

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